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Home » Argomenti » La transizione ecologica. Dai trasporti agli investimenti al capitale umano.

Articolo stampato dal sito https://carlocarraro.org
La transizione ecologica. Dai trasporti agli investimenti al capitale umano.

Tags: best climate practices, cambiamenti climatici, energia, investimenti, politiche climatiche, Trasporti, Unione Europea  |   Data: 25 Marzo 2022  | Nessun commento

Ripubblico nel Blog una interessante intervista realizzata per la nuova rivista di eAmbiente, ringraziando l’ufficio comunicazione di eAmbiente per l’accurato lavoro di sintesi.

 

Il settore dei trasporti – mobilità e infrastrutture è molto importante dal punto di vista della mitigazione climatica. Il MIMS ha recentemente pubblicato il rapporto su Cambiamenti Climatici, Infrastrutture e Mobilità scritto sotto la sua guida come presidente della relativa commissione ministeriale. Quali sono, secondo lei, i punti chiave del settore rispetto agli obiettivi dettati dall’Agenda 2030?

Il settore dei trasporti in Italia rappresentava nel 2019 (ultimo anno pre-Covid) il 25,2% delle emissioni totali di gas ad effetto serra e il 30,7% delle emissioni totali di CO2, una cifra all’incirca corrispondente alla percentuale di combustibili fossili consumati a livello nazionale. Il 92,6% di tali emissioni sono attribuibili al trasporto stradale. Se in Italia le emissioni si sono ridotte dal 1990 al 2019 del 19%, il settore nel 2019 rappresentava uno dei pochi settori in crescita di emissioni (+3.2% rispetto al 1990), congiuntamente a quello residenziale/ dei servizi e dei rifiuti.
I trasporti (dati ISPRA) generano inoltre una quota molto consistente delle emissioni in atmosfera di altri inquinanti, con il 40,3% degli ossidi di azoto (NOx), l’11,4% dei composti organici volatili non metanici (COVNM), il 10,1% di polveri sottili (PM), e il 18,7% di monossido di carbonio (CO). In particolare, per gli ossidi di azoto (NOx) e le polveri sottili si ricorda che l’Italia è in procedura d’infrazione per mancato rispetto delle Direttive europee sulla qualità dell’aria.
La grande importanza del settore dei trasporti nel quadro delle emissioni nazionali e la sua fortissima dipendenza dai combustibili fossili ne fanno il settore cardine di ogni strategia di lotta al cambiamento climatico e di tutela della salute umana.

 

Pensando al settore privato, molte case automobilistiche, Volvo per prima, ma recentemente anche Renault, hanno dichiarato la fine della produzione di motori a combustione entro il 2030. Se nel Nord Europa questa transizione può essere vissuta con maggior facilità (in Norvegia, la patria della mobilità elettrica europea, a fine 2017, il 52% delle nuove immatricolazioni è stato a propulsione elettrica o ibrida. Questo ha portato a circolare nel Paese più di 140.000 vetture elettriche e più di 67.000 ibride), ritiene che l’Italia sia ancora in tempo per non essere esclusa dai grandi mercati consumer? E se sì, cosa si aspetta che accadrà (o cosa deve accadere)?

L’Italia ha un sistema di trasporto che presenta una serie di deficit e distorsioni strutturali che vanno profondamente corretti e che devono essere affrontati insieme a causa delle loro profonde interrelazioni. Siamo infatti il Paese europeo con il maggior numero di autovetture per abitante (secondo soltanto al Lussemburgo), abbiamo un ritardo e un deficit nelle reti di trasporto pubblico locale e nel servizio che erogano, una generale disomogeneità territoriale nelle infrastrutture di trasporto e una eccessiva prevalenza del trasporto su gomma rispetto ad altri mezzi meno inquinanti.
Il PNRR cerca di rispondere ad alcune di queste criticità avviando una profonda riforma del sistema della mobilità verso la sua sostenibilità. I vari progetti del PNRR mirano ad aumentare la quota di trasporto pubblico locale con il rinnovo, il potenziamento e la decarbonizzazione della flotta; a ridurre la domanda di trasporto inquinante in particolare nelle città con l’ausilio anche delle piste ciclabili e della micro-mobilità elettrica (biciclette, monopattini, etc.); a facilitare la diffusione delle automobili elettriche per mezzo dello sviluppo della rete di ricarica veloce pubblica; a spostare una maggiore quota di trasporto passeggeri e merci dall’automobile e dall’aereo alla ferrovia con l’estensione al sud dell’alta velocità, il potenziamento delle connessioni trasversali, e lo sviluppo e la digitalizzazione di hub logistici.
Ma quanto prevede il PNRR non è sufficiente. Serve procedere in modo più spedito verso l’elettrificazione dei trasporti. Nel caso delle auto e dei veicoli commerciali leggeri la strada è segnata ed è quella dell’elettrico. Non c’è spazio per altre soluzioni, almeno nei prossimi dieci anni. Per altre modalità di trasporto, ci sono tecnologie in concorrenza tra loro sulle quali servirà fare delle scelte. Nel frattempo, si possono avviare misure “low regret”, ovvero procedere con scelte che comportino bassi rischi di insuccesso. Per fare un esempio, l’ampliamento della infrastruttura pubblica di ricarica per le auto elettriche ha sicuramente un bassissimo rischio di fallimento, così come la realizzazione di gigafactories per una produzione europea di batterie al top dello stato dell’arte. Similmente, la reintroduzione di incentivi per l’acquisto di auto elettriche – o di disincentivi per altre scelte – è un provvedimento utile a mobilizzare un mercato ancora incerto, nonostante che il Total Cost of Ownership delle BEV sia già oggi migliore delle vetture ICE, e per avviare il percorso che ci deve portare al target di riduzione delle emissioni al 2030. La transizione all’elettrico è una grande opportunità di trasformazione della nostra filiera industriale, che dovrebbe avviarsi in modo più deciso verso la transizione all’elettrico per non perdere ulteriori vantaggi competitivi e trovarsi ad affrontare poi gravi problemi occupazionali.

 

Il nostro è un Paese che si muove su gomma. Lei ha dichiarato “serve una strategia che permetta di proteggere, adattare e rendere resilienti infrastrutture e trasporti ai cambiamenti climatici”. Cosa significa e come possiamo immaginare un Paese che cambi in pochi anni quello che non è riuscito a cambiare in oltre 50? 

La decarbonizzazione dei veicoli è nel breve periodo (2030) uno dei cardini principali per contribuire nel modo più efficiente all’obiettivo di ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro il 2030. Il motivo sta nella bassissima resa energetica degli attuali mezzi di trasporto su strada, che in condizioni operative presentano efficienze tra il 20 e il 25% per le automobili e un massimo del 30% per i camion su lunghe distanze. La sostituzione, in particolare dei mezzi meno efficienti e più inquinanti, con mezzi a zero emissioni allo scarico – tipicamente auto elettriche – comporta anche un notevole aumento di efficienza, dell’ordine del 350-400%. Questo fa sì che ogni tonnellata equivalente di petrolio (tep) di combustibili fossili sostituita da elettricità rinnovabile necessita della produzione di un equivalente energetico di solo 0,2-0,25 tep di energia verde, con un fortissimo guadagno in termini di emissioni e minori costi di esercizio, similmente alla sostituzione di caldaie a gas con pompe di calore ad alta efficienza. Pertanto, l’elettrificazione dei veicoli comporta una forte riduzione delle emissioni con un minimo di realizzazione di nuove energie rinnovabili.
In generale:

  • Le soluzioni basate sull’elettrificazione diretta (BEVs) sono chiaramente più competitive dal punto di vista dell’efficienza energetica e della capacità di decarbonizzazione, se l’elettricità è ottenuta a partire da fonti rinnovabili.
  • L’entità di questi vantaggi dipende dalla possibilità di produrre elettricità a zero emissioni di gas serra e a basso costo, nonché dall’ottimizzazione e dalla qualità (durabilità) dei sistemi di stoccaggio energetico imbarcati (le batterie), che sono la componente più costosa di questo tipo di tecnologie.
  • La parziale sostituzione dei combustibili convenzionali con biocombustibili porta a vantaggi marginali in termini di riduzione delle emissioni, in quanto il profilo di emissioni dei biocombustibili, anche di seconda generazione, è comunque alto e comporta basse efficienze e notevoli costi energetici.
  • Gli automezzi a combustione interna (ICE) hanno un’impronta materiale complessivamente superiore a quelle a batteria, e questo è rappresentato anche da maggiori emissioni sul ciclo di vita.

 

Lei ha dichiarato: “La crescita economica globale va difesa con un urgente piano di trasformazione energetica, per far sì che da un lato tutti i nuovi impianti di produzione di energia elettrica utilizzino energie rinnovabili o il nucleare, dall’altro i processi di elettrificazione e di miglioramento dell’efficienza energetica procedano rapidamente in tutti i settori”. Qual è la conditio sine qua non per un piano di trasformazione energetico nel nostro Paese?

Nel rapporto preparato per il MIMS abbiamo messo in evidenza 5 azioni fondamentali:

  1. Il ruolo centrale dell’energia elettrica nel processo di decarbonizzazione richiede interventi di potenziamento della rete elettrica, la cui estensione si prevede aumenterà fino all’80%. Terna già prevede forti investimenti nelle reti di trasmissione elettrica al fine di incrementare la magliatura, rinforzare le dorsali tra Sud e Nord, potenziare i collegamenti fra le isole e la terraferma e all’interno delle isole, e sviluppare le infrastrutture nelle aree più deboli.
  2. Per valorizzare appieno la generazione da fonti energetiche rinnovabili, che per sua natura è tipicamente non programmabile, è necessario aumentare la flessibilità anche della domanda elettrica e sviluppare parallelamente un’adeguata capacità di generazione flessibile di carico di base per sopperire alla carenza di energia rinnovabile quando sussistono circostanze ambientali (sole e/o vento) sfavorevoli, oltre che di immagazzinamento del surplus di energia (con batterie o con l’idroelettrico nel breve periodo) per beneficiare del surplus prodotto da fonti rinnovabili quando le condizioni ambientali sono favorevoli.
  3. Vanno anche considerate e valutate altre soluzioni di generazione di energia a zero impatto climatico, incluso il nucleare da fissione di nuova generazione e da fusione. Inoltre, l’atteso progresso tecnologico – e calo di costi – nel campo degli elettrolizzatori potrebbe permettere di produrre e stoccare idrogeno nelle situazioni di surplus, al di là di una capacità produttiva rinnovabile dedicata. Sono soluzioni da considerare per l’obiettivo zero emissioni al 2050, che tuttavia non dovrebbero distogliere dal perseguire rapidamente le misure concretamente realizzabili nel breve termine per raggiungere gli obiettivi al 2030 (e basate essenzialmente su elettrificazione e rinnovabili).
  4. L’interconnettività legata al rafforzamento della rete elettrica europea è anche un’importante fonte di flessibilità, poiché consente di diversificare le risorse di generazione e modelli di domanda di elettricità più uniformi. In ambito internazionale, sono emerse di recente proposte di connessioni high voltage direct current (HVDC) anche su lunghissime distanze, come nel caso di Singapore con Australia e Regno Unito con il Marocco L’Italia dovrebbe considerare progetti in questa direzione, in particolare per sfruttare opportunità di approvvigionamento elettrico da zone con alto potenziale di irraggiamento solare (come il Nord Africa).
  5. È importante anche, nel breve termine (Fase I), acquisire capacità produttiva di batterie (fatto che è anche di grande rilevanza per il settore automobilistico, come discusso in precedenza, e per ragioni di sviluppo economico e resilienza) ed avviare attività di RS&D per tecnologie che possono abbattere i costi dello stoccaggio di elettricità, come stoccaggio termico e tecnologie di conversione ad alta efficienza di energia termica in energia elettrica, stoccaggio di aria compressa o liquida, batterie di flusso (“flow batteries”), produzione e stoccaggio di idrogeno o ammoniaca decarbonizzati (e conversione in elettricità con sistemi a combustione ultra-efficienti e/o celle a combustibile).

 

L’innovazione è la chiave per fermare il cambiamento climatico. Così scriveva nel suo blog il 29 gennaio del 2020, aggiungendo: Ma più pannelli solari, turbine eoliche e auto elettriche non bastano a ridurre le emissioni a zero. La neutralità carbonica richiederà innovazioni significative, che dovranno avvenire sufficientemente presto per dare il tempo alle nuove tecnologie di essere ampiamente utilizzate per fare la differenza. Eppure abbiamo spese miliardi negli ultimi anni in incentivi, e ne spendiamo (e spenderemo) molti di più in questi anni. Cosa deve cambiare davvero? Cosa non ha funzionato? Cosa ci manca?

Per quanto riguarda l’innovazione, manca una politica della ricerca che metta davvero in competizione atenei e enti di ricerca. Le risorse sono inadeguate, il PNRR va infatti considerato una eccezione che terminerà nel 2026, e mal spese. Generalmente distribuite a pioggia, con minima focalizzazione e nessuna valutazione ex post dei risultati su cui basare poi eventuali rifinanziamenti.
Nei piani nazionali della ricerca di questi ultimi due decenni non si è posta attenzione al cambiamento climatico e alle tecnologie che sono necessarie per affrontarlo nel lungo periodo. Da quelle per l’adattamento in agricoltura, ad esempio, a quelle per la rimozione dello stock di CO2 dall’atmosfera (non basterà infatti azzerare il flusso annuo di CO2), a quelle per la conservazione dell’energia su grande scala.
Servono quindi investimenti in R&D pubblica e incentivi all’R&D privata per lo sviluppo di tecnologie che riducano le emissioni nel settore dei trasporti, edifici, mobilità, infrastrutture energetiche, digitali e idriche. Sostegno allo sviluppo industriale delle tecnologie digitali che facilitino l’integrazione modale, nel quadro delle alleanze industriali europee.

 

Questi sono anni cruciali: la tassonomia, il Dnsh, il Pnrr. Insomma: se non ora, quando. Eppure, nonostante milioni di euro pronti all’uso le imprese sembrano ancora molto reticenti (o forse non adeguatamente informate) rispetto al fatto che il 2030 sarà un anno spartiacque. Facciamo un esempio: se è vero, come sembrerebbe vero, che per dialogare con un istituto di credito dovremmo portare oltre ad un rating finanziario anche un rating ESG significa, forse, che il nostro tessuto imprenditoriale deve cambiare completamente paradigma. Ma allora c’è da chiedersi se le imprese sono in grado di vivere questa trasformazione.

Le imprese sembrano essere più avanti e sembrano procedere più rapidamente dei decisori politici. Con, forse, l’eccezione di alcune aziende che producono combustibili fossili, spesso su posizioni di retroguardia, le altre hanno capito quanto il cambiamento climatico possa in futuro danneggiare il proprio business e quindi si muovono per evitarlo, oltre che per sfruttare le nuove opportunità di business offerte dal cambiamento climatico stesso. E il mondo della finanza farà da stimolo, perché la Banca Centrale Europea sta disincentivando il sistema bancario dal prestare a imprese rischiose dal punto di vista climatico o che non adottano misure per ridurre le proprie emissioni e quelle della propria filiera produttiva.

 

Infine: il Capitale Umano. Ritiene che una buona transizione passi anche dalla formazione e dall’investimento oltre che sulle tecnologie anche sul capitale Umano? Se sì, come trasformiamo un Paese che ha gradualmente perso appeal nei confronti dei giovani e dei talenti?

Senza dubbio è necessario investire nello sviluppo delle competenze, per il quale occorre formulare un piano di investimenti che riguardi sia gli individui sia le imprese, in modo particolare le PMI, per favorire la diffusione di abilità e conoscenze fondamentali per la transizione ecologica (tra queste, la digitalizzazione e il passaggio alle tecnologie Cloud/Edge, critiche nella decarbonizzazione della rete IT e parte integrante delle alleanze industriali europee).
I giovani talenti emigrati all’estero in questi ultimi anni sono tantissimi (più di un milione). Farli rientrare in Italia perché’ aiutino la crescita sostenibile e la transizione economica oltre che ambientale del paese è ancora possibile. Le imprese devono però spostare il focus della loro strategia sull’innovazione e offrire salari adeguati a coloro che quell’innovazione possono sviluppare.

 


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