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Articolo stampato dal sito https://carlocarraro.org
Il gap digitale

Tags: Digitale  |   Data: 13 Gennaio 2020  | Nessun commento

Il ritardo che l’Italia ha acquisito in campo digitale sta assumendo dimensioni preoccupanti. La Figura qui sotto mostra bene come purtroppo l’Italia sia al quart’ultimo posto in Europa in termini di sviluppo di una economia e società digitali. Si tratta di un indice composito, che tiene conto sia delle infrastrutture digitali (nella diffusione della banda larga l’Italia sta recuperando lentamente il ritardo con le altre regioni europee) sia del capitale umano con competenze digitali, sia dell’integrazione delle tecnologie digitali nei processi produttivi e nei servizi pubblici. Da tutti questi punti di vista il gap con i paesi europee più avanzati è molto rilevante. E non tende a ridursi nel tempo (la posizione dell’Italia non è cambiata negli ultimi 5 anni).

 

Nonostante gli effetti positivi del Piano Industria 4.0, che ha certamente favorito l’adozione di tecnologie digitali, almeno nelle imprese più grandi (più di un terzo tra quelle con più di 50 addetti ha adottato o prevede di adottare almeno una nuova tecnologia, e il 20% almeno tre). A conferma che la ricetta vincente è sempre un mix di investimenti pubblici e di investimenti privati, il tutto sorretto da una chiara visione di quali siano le priorità da perseguire.

 

L’indice dell’economia e della società digitale (Fonte: Commissione Europea, DESI 2018)

 

La trasformazione digitale non sarà inoltre l’unica rivoluzione tecnologica a cambiare radicalmente il nostro modo di vivere, il funzionamento dei nostri habitat, l’organizzazione del lavoro ed anche il nostro rapporto con la politica. Sono molte altre le trasformazioni in arrivo. Da quelle nel mondo della salute e della demografia generate dalla bio-ingegneria e dalla ricerca sul genoma umano. Allo sviluppo di nuovi materiali e processi legati alla ricerca sulla miniaturizzazione estrema (il nanotech).

 

Per tenere il passo e preparare i nostri territori ai cambiamenti in corso, per rendere resilienti le nostre imprese, servono quindi importanti investimenti in ricerca e innovazione, dentro e fuori le università, attraverso scelte strategiche delle imprese più grandi e forme di collaborazione tra quelle più piccole . Partendo purtroppo da una situazione attuale in cui le risorse pubbliche e private dedicate a ricerca e innovazione ed allo sviluppo di nuove imprese innovative sono ancora troppo poche. L’Italia spende per Ricerca e Sviluppo meno del 2% del proprio PIL contro il 3% che costituisce l’obiettivo che i paesi Europei si sono dati. Con carenze sia nella spesa privata sia in quella pubblica. E con un grosso divide territoriale. Le regioni del Nord, in primis Piemonte, Trentino ed Emilia Romagna (vedi figura sotto) spendono risorse importanti, comunque più del doppio di quanto spendano per Ricerca e Sviluppo le regioni meridionali (nonostante la maggior disponibilità di fondi europei).

 

Spesa per Ricerca e Sviluppo nelle regioni italiane (in % del PIL. Anno 2015. Fonte: Eurostat)

 

Si tratta di un ennesimo fattore di divisione tra Nord e Sud che ulteriormente riduce le speranza che in futuro la forte differenza in termini di performance economica ed occupazionale possa attenuarsi.

 

Il mondo sta cambiando in fretta. Ricerca ed innovazione stanno introducendo enormi trasformazioni nei consumi, stili di vita, metodi produttivi. Per rimanere competitivi a fronte di questi cambiamenti serve innovare. Attraverso nuove imprese o la trasformazione di quelle esistenti. Per innovare, serve una diversa forza lavoro, più preparata anche nelle mansioni tecniche. Formata in modo più coerente col mondo che cambia e con i bisogni delle imprese. Ma soprattutto serve stare al passo con le nuove tecnologie, soprattutto in campo digitale.

 

Come ben scrive il Global Competitiveness Report 2018: “To further maximize its innovation potential, Italy could further expand its ICT adoption, while the private sector should be more open to new business models and disruptive ideas and assume a more positive risk-taking attitude”.


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