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Articolo stampato dal sito https://carlocarraro.org
Ora conviene, non ci sono più giustificazioni

Tags: AR6, Cambiamento Climatico, IPCC, mitigazione  |   Data: 18 Aprile 2022  | Nessun commento

Riproduciamo in forma integrale l’intervista rilasciata a Luca Fraioli di Repubblica e uscita su Green&Blue.

 

Luca Fraioli: Ci aiuti a capire il rapporto uscito ieri. Se il titolo dovesse farlo lei, quale sarebbe?

 

Carlo Carraro: Non avrei dato il messaggio che invece è poi passato sui media, ovvero “agire ora o mai più”. E non perché non sia vero o importante, ma perché è un messaggio vecchio: lo aveva già detto ad agosto il Working Group I, quello che lavora sulle cause scientifiche del riscaldamento globale. Io avrei puntato sul fatto che oggi esistono soluzioni tecnologiche accessibili dal punto di vista economico per tagliare le emissioni e addirittura dimezzarle entro il 2030. Quando sei anni fa fu pubblicato il precedente Rapporto dell’Ipcc non esisteva niente di simile. Ecco, non si è insistito abbastanza sulla convenienza delle azioni che oggi i governi potrebbero mettere in campo.

 

LF: Ci fa degli esempi?

 

CC: Si pensi al fatto che oggi l’energia da fotovoltaico costa meno di quella prodotta con i combustibili fossili. O le auto elettriche: il loro costo totale operativo, dalla produzione alla rottamazione, è ormai inferiore a quello delle automobili a combustione interna perché sono crollati i prezzi delle batterie. E lo stesso vale per le pompe di calore, che forse sono leggermente più care in fase di installazione, ma nel medio periodo sono già più convenienti delle caldaie a gas.

 

LF: C’è però chi anche all’interno dell’Ipcc sottolinea come il traguardo di 1,5 gradi di riscaldamento si allontani sempre più…

 

CC: Ma anche questa è una cosa che sapevamo già: perfino gli scenari più ottimistici ci dicono che arriveremo a 1,5 gradi nel 2040. Il problema è cosa accadrà dopo. E dipende dalle scelte che faremo nei prossimi mesi. E’ sbagliato mettere tutta questa enfasi sull’1,5. Anche se supereremo quella soglia, non per questo arriveremo a 3 gradi, ma potremmo attestarci a 1,7 o 1,8, e quindi vale comunque la pena perseguire la riduzione del riscaldamento. Essere ambiziosi è importante, ma lo è altrettanto essere realistici.

 

LF: Da quanti anni segue le vicende climatiche?

 

CC: Sono stato per la prima volta tra gli autori di un rapporto Ipcc nel 1992. E sono vicepresidente del Working Group III dal 2008.

 

LF: E dopo trent’anni qual è il suo bilancio?

 

CC: Dal punto di vista scientifico i progressi sono stati enormi: trent’anni fa non avevamo tutte queste conoscenze sulla scienza del clima e sulle possibili soluzioni tecnologiche. Dal punto di vista delle policy molto meno bene. Poco e’ stato fatto per seguire le valutazioni dell’IPCC, tant’e’ che le emissioni sono sempre aumentate negli ultimi 30 anni, con l’eccezione della recessione del 2008 e della crisi pandemica del 2009.

 

LF: L’Ipcc poteva fare di più in passato per sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica?

 

CC: Voglio ricordare che l’Ipcc non fa ricerca scientifica ma analizza le pubblicazioni scientifiche già esistenti per fornire un quadro ai decisori politici. La sintesi è comunque frutto di un confronto tra le delegazioni di tutti i Paesi e anche l’accordo su una singola parola può fare la differenza. In quest’ottica il cambiamento a cui abbiamo assistito negli ultimi tre decenni dimostra quanto sia cresciuta la consapevolezza della crisi climatica. Prendiamo la questione se siano, oppure no, le attività umane a causare il riscaldamento globale. Nel primo rapporto l’Ipcc scrisse “non è discernibile, non si riesce a capire”. Poi nel corso degli anni si sono usate le espressioni “probabile”, “molto probabile”, “altamente probabile”. Solo nell’ultimo rapporto del Working Group I dell’agosto scorso tutti i paesi del mondo in cui c’era nero su bianco la parola “indiscutibile”. E approvata da tutti i paesi delle Nazioni Unite.

 

LF: E però la politica non sembra prenderne atto. Perché?

 

CC: Le cause vanno ricercate negli incentivi economici. Se quelli di breve periodo non sono sufficienti, il fatto di evitare una catastrofe di lungo periodo non è abbastanza attraente per i politici. Perché I cicli elettorali sono molto brevi, i voti si devono prendere adesso e non tra dieci anni, le generazioni future non votano oggi, tutto ciò che succederà tra vent’anni ha poca importanza. E fino a poco tempo fa si era convinti che gli effetti dell’emergenza climatica si sarebbero visti tra decenni. Ora ne vediamo già alcune conseguenza e sta cambiando anche l’approccio dei policy makers. Forse troppo lentamente, mentre invece la finanza ha virato più rapidamente, perché ha capito che le soluzioni più convenienti sono quelle della transizione ecologica.

 

LF: Quest’ultimo Rapporto IPCC sulla mitigazione indurrà la politica ad accelerare?

 

CC: L’Ipcc poteva fare di meglio e io mi sono battuto per questo. Va bene fare il punto sulle emissioni e su quanto siamo lontani dagli obiettivi, va benissimo anche l’analisi delle soluzioni per la decarbonizzazione settore per settore, dalle imprese alle città. Ma i politici sono interessati a sapere quali saranno i costi della transizione. Vogliono capire se l’occupazione diminuirà e in quali comparti nasceranno nuovi posti di lavoro, quali saranno i rischi climatici per gli investimenti e per il settore bancario… Tutto questo nel rapporto Ipcc non c’è, e invece ci sarebbe dovuto essere.

 

LF: E l’Italia come si sta comportando? Come valuta la nostra transizione ecologica?

 

CC: Finora ho sentito molte proposte, ma non siamo ancora a decisioni vere e proprio. Dovremo attenerci alle indicazioni europee, che sono chiarissime, anche dopo la guerra in Ucraina: il conflitto deve accelerare la transizione e non rallentarla. Sono però sicuro che alla fine il dibattito interno si tradurrà in azioni attorno alle indicazioni della Ue.

 

LF: A proposito dell’Unione, lei ha da poco coordinato un rapporto voluto dal commissario Gentiloni sulla Nuova Era dell’Europa. Quale può e deve essere il ruolo del vecchio continente tra pandemia, guerra e crisi climatica?

 

CC: Il commissario Gentiloni ha chiesto a me e ad altri sette esperti, tra economisti, politologi e sociologi, di redigere un rapporto sul futuro dell’Europa dopo la pandemia (https://www.climateforesight.eu/jobs-growth/a-new-era-for-europe-from-enormous-challenges-arise-unique-opportunities/). Noi abbiamo fatto una serie di proposte concrete. Tra queste una Next Generation 2.0 dal 2026, che tenga insieme le tre transizioni: oltre alla ecologica e alla digitale che già conosciamo, anche quella sociale. Perché vanno evitate le ripercussioni negative delle prime due: l’impatto sul mercato del lavoro, l’esclusione delle persone meno istruite, la divaricazione nei redditi…E va rivista tutta la fiscalità di conseguenza.

 

LF: A proposito di conflitto in Ucraina: quanto influirà sulle scelte energetiche mondiali e sulla lotta ai cambiamenti climatici?

 

CC: C’è stato un comprensibile sbandamento iniziale dovuto alla paura per quello che stava accadendo, con improbabili corse all’acquisto di gas o addirittura carbone. Ma si dimentica che i russi non hanno alcun interesse a fermare le forniture di gas, visto che glielo paghiamo cinque volte di più rispetto a pochi mesi fa. E si dimentica anche che il gas russo non lo avremmo comunque più comprato a partire dal 2030, proprio per gli obiettivi di decarbonizzazione che si è data l’Europa. Ora questa data è stata anticipata dalla Commissione Europea al 2026. Passata l’emergenza, si capirà che le soluzioni convenienti sono altre.

 

LF: Ma non ci sarà anche questo dietro l’aggressione russa all’Ucraina? Cosa resterà del potere economico e geopolitico di Mosca quando i suoi combustibili fossili saranno ormai obsoleti in una Europa green?

 

CC: Ne sono convinto. Non ho mai creduto alle tesi sulla follia o la malattia di Putin. I russi sanno bene che l’addio al gas e al petrolio rappresenta per loro una grave minaccia. E lo hanno detto in tutti i consessi internazionali, compreso l’Ipcc. Così come hanno fatto gli altri grandi produttori di fossili, a cominciare dall’Arabia Saudita. La transizione energetica è anche una transizione geopolitica internazionale che andrebbe gestita con cura e lungimiranza.

 


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