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Home » Argomenti » Cambiamento climatico » La bolla del clima

Articolo stampato dal sito https://carlocarraro.org
La bolla del clima

Tags: cambiamenti climatici, mercato del carbonio, mitigazione, obama, politiche climatiche, USA  |   Data: 30 Luglio 2014  | 2 Commenti

La crisi finanziaria del 2008, che tuttora manifesta i suoi effetti negativi soprattutto in Europa,  ha avuto origine da una importante bolla speculativa sui mercato immobiliare statunitense alimentata da un comportamento eccessivamente propenso al rischio da parte di molte istituzioni finanziarie, statunitensi e non. Quella crisi finanziaria trasformatasi poi in una lunga crisi economica a tutto tondo  ha causato e sta causando danni a milioni di persone. Si sarebbe potuta evitare, ma cosi’ non e’ stato, soprattutto per mancanza di un pochino di lungimiranza. Sarebbe bastato guardare alle ripercussioni di medio periodo di molte decisioni, e non solo ai loro effetti immediati in termini di profitto, per evitare il disastro. Che c’entra quella bolla speculativa e i suoi effetti con il cambiamento climatico?

In un recente articolo apparso il 21 giugno scorso nell’editoriale del New York Times, Henry M. Paulson, ministro del Tesoro del governo Bush, ed uno degli attori piu’ importanti di quelle disastrose vicende, individua molte similitudini tra le vicende di allora e il nostro atteggiamento nei confronti dei cambiamenti climatici in corso. E lancia un allarme, per non ripetere gli stessi errori di allora: “For too many years, we failed to rein in the excesses building up in the nation’s financial markets. When the credit bubble burst in 2008, the damage was devastating. Millions suffered. Many still do. We’re making the same mistake today with climate change. We’re staring down a climate bubble that poses enormous risks to both our environment and economy. The warning signs are clear and growing more urgent as the risks go unchecked”.

Si tratta di un allarme che colpisce per varie ragioni: perche’ viene da persona che con cognizione di causa sa quanti effetti negative abbiamo avuto le decisioni sbagliate prese da banche, assicurazioni, governi, istituzioni internazionali, durante la crisi del 2008. E perche’ Henry Paulson, non e’ un attivista ambientalista, anzi, e’ un esponente di spicco del Partito Repubblicano statunitense.  E soprattutto per il fatto che la posizione di Paulson si discosta dall’atteggiamento prevalente all’interno del Partito Repubblicano stesso: “E’ vero che gli Stati Uniti non possono risolvere il problema da soli” afferma Paulson riferendosi ai cambiamenti climatici, “ma non saremo in grado di persuadere altri grandi emettitori ad agire urgentemente se non stiamo facendo tutto quello che possiamo fare per rallentare le nostre emissioni e mitigare i nostri rischi”.

Paulson pone quindi l’accento sulla necessità di un’azione concreta immediata al fine di ridurre i rischi legati ai cambiamenti climatici. La bolla del clima pone infatti a rischio non solo l’ambiente, ma soprattutto l’economia, e i suoi effetti si ripercuoteranno in modo rilevantissimo sulle prossime generazioni. Tali rischi sono stati esaminati per gli Stati Uniti nel Risky Business Project (del quale Paulson è co-direttore insieme all’ex sindaco di New York, Michael R. Bloomberg, e Tom Steyer, ex importante manager di hedge fund), dove si identificano i rischi economici dovuti soprattutto all’innalzamento del livello del mare e all’aumento dei picchi nelle temperature (con impatti gravi sulla produttività  in agricoltura). Scrive sempre Paulsom: “If there’s one thing I’ve learned throughout my work in finance, government and conservation, it is to act before problems become too big to manage.”.

La proposta di Paulson è di lasciare al mercato il compito di trovare la risposta adeguata per raggiungere una riduzione nel consumo dei combustibili fossili (una delle principali cause dei cambiamenti climatici) attraverso una carbon tax (tassa sul carbonio) che dia un prezzo alle emissioni e permetta alle imprese che emettono gas ad effetto serra di riconoscere il danno che provocano all’economia del pianeta, includerlo nei loro bilanci, e di conseguenza, visto l’impatto negativo sui loro profitti, fare di tutto per evitarlo. Pagare per le emissioni prodotte incoraggerebbe inoltre l’adozione di tecnologie verdi.

E’ vero che una carbon tax sulle emissioni rappresenta una soluzione ottima, ma è anche vero che è molto difficile che sia approvata dal Congresso statunitense: le tasse, si sa, non piacciono né ai cittadini, né ai governanti. In particolare, soprattutto negli US,  quelle che hanno a che fare con l’energia.

Di sistemi di mercato per ridurre le emissioni si parla però e per fortuna (seppure trasversalmente) nell’ultima proposta dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (Environmental Protection Agency – EPA) degli Stati Uniti. Lo scorso 2 giugno, è stato reso pubblico il “Clean Power Plan” che propone di ridurre le emissioni delle centrali elettriche del 30% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030.[1] L’EPA ha proposto target di riduzione differenziati per i 49 Stati, tenendo conto del diverso mix di generazione e delle differenti opportunità domestiche di abbattimento delle emissioni. La proposta dell’EPA punta sulla flessibilità: gli Stati sono liberi di scegliere gli interventi da attuare per raggiungere i loro target attraverso: (i) il miglioramento dell’efficienza energetica delle centrali a combustibili fossili; (ii) la sostituzione delle centrali a carbone con quelle a gas; (iii) la sostituzione delle centrali a combustibili fossili con centrali ad emissioni nulle (rinnovabile o nucleare); (iv) il miglioramento dell’efficienza energetica dei consumi. Inoltre, gli Stati sono liberi di creare schemi di scambio dei permessi di emissione, simili a quello in vigore in Europa, oppure partecipare a schemi già esistenti (ad esempio quello della California) o introdurre una carbon tax (come quella proposta da Paulson).

Infine l’editoriale di Paulson, sottolineando come le scelte e non scelte di oggi possano produrre effetti rischiosi per il futuro (è successo nel sistema finanziario e potrebbe accadere anche in quello del clima), pone l’accento sull’aspetto politico. Il rischio della bolla clima è di portata globale, ma un primo segnale da parte degli Stati Uniti potrebbe essere di stimolo agli altri Paesi. E’ chiaro che, senza una azione concreta negli USA, la pressione sui paesi emergenti (in particolare la Cina) affinché si impegnino per ridurre le emissioni di gas serra non sarà efficace. Il recente lancio di sette schemi provinciali e municipali di emissions trading cinesi[2] e la possibilità di uno schema di scambio nazionale delle emissioni entro la fine del decennio sembrano essere di buon auspicio. La proposta cinese e quella dell’EPA possono davvero rappresentare passi concreti per allontanarsi dal rischio ”bolla del clima”. Ma la strada da percorrere e’ ancora molta.

Scrive sempe Paulson “In a future with more severe storms, deeper droughts, longer fire seasons and rising seas that imperil coastal cities, public funding to pay for adaptations and disaster relief will add significantly to our fiscal deficit and threaten our long-term economic security. So it is perverse that those who want limited government and rail against bailouts would put the economy at risk by ignoring climate change. This is short-termism. There is a tendency, particularly in government and politics, to avoid focusing on difficult problems until they balloon into crisis. We would be fools to wait for that to happen to our climate.”

 


[1] La nuova regola dell’EPA sarà completata entro giugno 2015 e gli stati dovranno attuarla entro giugno 2016.

[2] Da aprile 2014, 6 dei 7 schemi pilota sono già operativi.


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2 risposte a “La bolla del clima”

  1. vmarletto ha detto:
    19 Agosto 2014 alle 09:43

    Gentile Professore, esistono a sua conoscenza simulazioni/calcoli/articoli tecnici che mostrino/discutano l’effettiva efficacia dei vari tipi di provvedimenti “di mercato” da lei citati nel contenere efficacemente le emissioni serra e mantenere temperature globali sopportabili (per esempio restando al di sotto dei famosi +2 °C)? In particolare mi riferisco alla tassa sul carbonio a confronto con i vari schemi di scambio e commercio dei titoli di emissione.
    Grazie per l’attenzione, Vittorio Marletto
    Vittorio marletto

    Accedi per rispondere
    • Carlo Carraro ha detto:
      25 Agosto 2014 alle 07:22

      Gentile Dott Merletto,
      gli studi sono numerossimi. La rinvio ad alcuni dei piu’ recenti: un progetto europeo, finanziato dalla commissione europea, che si chiama Limits nel cui sito web ( http://www.feem-project.net/limits/index.html ) trova molti articoli ( http://www.feem-project.net/limits/03_outreach_01_02.html). Oppure un progetto, finanziato dalla Allianz assicurazioni, che si chima Recipe ( https://www.pik-potsdam.de/research/sustainable-solutions/flagshipspld/ClimatePolicies/recipe-groupspace/working-papers )
      Cordiali saluti

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