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Home » Argomenti » Cambiamento climatico » COP19 di Varsavia, tra impegni generici e piccoli successi

Articolo stampato dal sito https://carlocarraro.org
COP19 di Varsavia, tra impegni generici e piccoli successi

Tags: Bonn, cambiamenti climatici, cop19, negoziati, politiche climatiche, UNFCCC, varsavia  |   Data: 24 Novembre 2013  | Nessun commento

COP-bnIl passaggio del tifone Haiyan, costato la vita a migliaia di persone, ha anticipato di appena due giorni l’apertura della Conferenza sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite, che ha iniziato i suoi lavori l’11 novembre 2013. Quasi a ricordare l’urgenza di un accordo globale e significativo sul clima, la seconda settimana di negoziazioni della diciannovesima Conferenza delle Parti (COP19) dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change – Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici), quella decisiva, si è inaugurata il 18 novembre con la notizia del ciclone Cleopatra abbattutosi sulla Sardegna.

Nessuna grande aspettativa era stata posta su quest’edizione della Conferenza, mirata ad impostare una roadmap verso la ventunesima COP, che si terrà a Parigi nel 2015: è lì che, passando per la COP20 di Lima (Perù) del prossimo anno, i governi dovranno convenire ad un accordo per il periodo “post-2020”, quando anche la seconda fase del Protocollo di Kyoto (2013-2020) sarà giunta al termine. Nonostante le scarse aspettative, arrivare ad una convergenza tra le posizioni dei vari governi non è stato semplice: le negoziazioni, che avrebbero dovuto concludersi entro la sera del 22 novembre, sono terminate solo la sera  del 23, dopo una notte di lavori senza sosta per giungere ad un accordo su ciascuno dei testi all’ordine del giorno per i diversi gruppi di lavoro.

Non è mancato il malcontento da parte di  ambientalisti e Organizzazioni Non Governative che, negli ultimi giorni, hanno chiamato ad un’azione più decisa da parte dei governi. Dopo aver lasciato la Conferenza giovedì pomeriggio, gli attivisti hanno voluto far sentire la propria voce durante le sedute plenarie conclusive del venerdì sera: dai padiglioni in cui avevano luogo le negoziazioni si sentivano i manifestanti urlare “Stop Climate Madness!”. Il coro era ispirato ad un intervento del capo delegazione delle Filippine nel giorno inaugurale della Conferenza. Quel giorno, Yeb Saño iniziava il suo sciopero della fame per chiedere un’azione concreta per la riduzione dei gas serra, portando il caso del tifone Haiyan come esempio delle conseguenze devastanti del riscaldamento globale.

Ma cosa si è deciso alla COP19 di Varsavia?

 

REDD+, Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation

L’unico vero successo della Conferenza si è realizzato in ambito REDD+. L’acronimo REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation) comprende la riduzione delle emissioni di gas serra causate dalla deforestazione e dal degrado delle foreste, oltre alla loro conservazione e gestione sostenibile. Circa un quinto delle emissioni globali di gas serra sono attribuibili alla deforestazione che,  seconda solo al settore energetico, supera quello dei trasporti in fatto di contributo al riscaldamento globale. Si tratta dunque di un settore su cui è necessario agire per arrivare a colmare il cosiddetto “mitigation gap”, ovvero il divario che separa gli attuali impegni di mitigazione delle Parti dagli impegni che si rendono necessari per non superare la concentrazione di emissioni che porterebbe ad un aumento della temperatura superiore a 2°C.

La COP19 di Varsavia sarà ricordata per aver raggiunto un accordo almeno nel campo della preservazione delle foreste: dopo 7 anni da quando il tema è stato portato per la prima volta all’agenda dell’UNFCCC, è stato finalmente raggiunto un accordo che ha portato alla fondazione del “Warsaw Framework for REDD +”, un meccanismo formale per stabilire livelli di riferimento, riconoscere le azioni adeguate di mitigazione e creare meccanismi di finanziamento basati sulle effettive performance dei Paesi in questo ambito. Infatti l’accordo, sostenuto da un impegno di 280 milioni di dollari di finanziamento da parte di Stati Uniti, Norvegia e Regno Unito, rappresenta uno sforzo per attribuire un valore economico al carbonio stoccato nelle foreste e incentivare i Paesi in via di sviluppo ad investire in un’ottica di sviluppo sostenibile.

 

Loss and Damage

Gli impatti dei cambiamenti climatici sono già in atto, lo abbiamo visto questi giorni. Allo Stadio Nazionale di Varsavia, dove è stata ospitata la Conferenza, le 12.000 persone presenti hanno dimostrato massima solidarietà nei confronti del disastro delle Filippine, raccogliendo fondi e dedicando attenzione alla popolazione colpita.

I danni e le perdite (Loss and Damage) associati agli impatti dei cambiamenti climatici comprendono perdite di vite umane e perdite economiche sempre più ingenti, specialmente nei Paesi in via di sviluppo. I cambiamenti climatici sono un problema globale, con cause globali, ma impatti locali. La richiesta di supportare i Paesi più esposti e/o vulnerabili nella compensazione dei danni associati agli impatti dei cambiamenti climatici fu sollevata per la prima volta nel 1991 dai Paesi AOSIS (l’Alleanza delle Piccole Isole). Nel corso degli ultimi tempi si è rafforzato l’interesse della Conferenza in questo aspetto, fino ad arrivare alla decisione, alla COP18 di Doha, di istituzionalizzare il tema attraverso la creazione di un meccanismo dedicato nell’ambito dell’UNFCCC. A Varsavia è stato infatti istituito il “Warsaw international mechanism for loss and damage”, un meccanismo internazionale volto a migliorare la protezione dei Paesi più vulnerabili contro i danni e le perdite causati da eventi estremi. I lavori del “meccanismo” inizieranno il prossimo anno. Ma si tratta di un accordo molto generico, vuoto di contenuti, che mira essenzialmente a scambio di informazioni e competenze, ma non contiene impegni finanziari.

 

Climate Adaptation Fund

Di costi e benefici dell’adattamento ai cambiamenti climatici si è parlato anche al Side Event “Costs and benefits of adaptation to climate change and the sustainability of public finance in the EU”, organizzato da Fondazione Eni Enrico Mattei e Università Ca’ Foscari Venezia (scarica qui le presentazioni): anche guardando il solo punto di vista finanziario, senza considerare tutti gli altri benefici (in termini ambientali, sanitari, di vite umane…), si può dimostrare che investire ora nell’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici è assolutamente conveniente. Non farlo, significa danneggiare ulteriormente le nostre economie e peggiorare i conti pubblici.

A Varsavia sono stati stanziati 100 milioni di dollari nel Climate Adaptation Fund da parte di Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia, Svezia e Svizzera. Il Climate Adaptation Fund è stato fondato nel 2008 con lo scopo di contribuire alle azioni di adattamento dei Paesi in via di sviluppo, nell’ottica di compensare le responsabilità storiche dei Paesi sviluppati: i Paesi poveri chiedono infatti a coloro che, storicamente, hanno contribuito in misura maggiore all’aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera, di aiutare economicamente le zone più esposte e vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici (come ad esempio l’innalzamento del livello del mare e l’intensificarsi degli eventi estremi) a prepararsi per prevenirne o limitarne i danni.

 

Long term finance

Nonostante la COP19 dovesse essere “la COP della finanza”, nessun impegno economico è stato preso nell’ambito del più ambizioso Green Climate Fund, uno degli strumenti finalizzati a mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 da parte dei Paesi sviluppati, per aiutare i Paesi più poveri nel campo della mitigazione e dell’adattamento. Il capitolo dei finanziamenti di lungo termine è stata quindi la grossa delusione della COP19.

 

Durban Platform

Nell’ambito dei lavori sul nuovo accordo vincolante per tutte le Parti da raggiungere a Parigi nel 2015, e che entrerà in vigore nel 2020, i Paesi hanno deciso di iniziare o intensificare i lavori per la determinazione dei loro contributi nazionali di riduzione delle emissioni. Il testo adottato, frutto di compromesso e di 36 ore di negoziazioni non-stop da parte dei delegati, è  più “annacquato” e meno impegnativo di quanto ci si aspettasse. “Gli Stati che sono pronti a farlo” presenteranno, entro i primi mesi del 2015, i loro “contributi” (parola che sostituisce nell’ultima versione del testo la parola “impegni”) per la riduzione dei gas serra da includere nel nuovo accordo. Nel frattempo, il prossimo appuntamento del gruppo di lavoro sulla Piattaforma Durban è atteso a Bonn dal 10 al 14 marzo 2014.

 

A Varsavia, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha rinnovato il suo invito ai governi e ai leader del mondo della finanza, delle imprese, dei governi locali e della società civile al Climate Summit di New York, il 23 settembre 2014. “Chiedo a tutti coloro che verranno di portare nuove proposte e azioni. Entro l’inizio del 2015, abbiamo bisogno degli impegni necessari a raggiungere un’azione sufficiente e reale per mantenerci al di sotto dell’aumento di temperatura di 2 gradi, livello internazionalmente accordato”.

Come spiegano i Climalteranti in un loro post, il grosso scoglio che è emerso dalle negoziazioni è stato quello di trovare un equilibrio che rispetti il principio dell’equità: i quasi 200 Paesi che stanno negoziando gli accordi hanno responsabilità differenziate (e legate al loro livello di sviluppo) rispetto alle concentrazioni attuali di gas serra, ed è diversa la capacità di ciascuno di contribuire alla sua soluzione. Tuttavia, la responsabilità è comune e deve collegarsi anche alle prospettive di emissioni future. Nonostante i progressi significativi sul fronte della tutela delle foreste, siamo ancora piuttosto lontani dal raggiungimento di un livello di impegni e di risorse sufficiente a garantire un accordo soddisfacente al 2015. E il tempo che ci separa dalla COP21 di Parigi non è molto.


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