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Home » Argomenti » Cambiamento climatico » Parigi 2015: un accordo efficace e realizzabile?

Articolo stampato dal sito https://carlocarraro.org
Parigi 2015: un accordo efficace e realizzabile?

Data: 7 Dicembre 2015  | Nessun commento

La COP21 di Parigi ha visto, per la prima volta, tutti – o quasi – i Paesi del mondo impegnarsi  a controllare le proprie emissioni di gas serra in atmosfera e ad adottare azioni per gestire il problema del cambiamento climatico. Gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni presentati da 184 Paesi coprono infatti il 97,9% delle emissioni globali. Sebbene sappiamo che tali impegni non saranno generare una riduzione delle emissioni al 2030 rispetto ai livelli del 2010, è doveroso riconoscere che, se saranno implementati, il livello delle emissioni sarà di gran lunga inferiore rispetto al business as usual, ovvero rispetto a quello che si sarebbe registrato senza l’accordo di Parigi. Nel 2030, le emissioni sostanzialmente si stabilizzeranno, dopo 40 anni di crescita molto rapida. Gli impegni di Parigi, che pongono le basi per un successo senza precedenti, non sono tuttavia ancora sufficienti a limitare l’aumento della temperatura media globale entro i 2°C a fine secolo rispetto ai livelli preindustriali. La sfida che ci attende è quindi di enorme portata.

L’e-book “Towards a Workable and Effective Climate Regime”, grazie ai contributi di 49 esperti, riconosce la necessità di un accordo che sia allo stesso tempo realizzabile ed efficace. Non sarà infatti sufficiente un accordo realizzabile ma non sufficientemente efficace (come rischia di essere il caso di Parigi) oppure efficace se attuato, ma politicamente inaccettabile (come nel caso di un accordo top-down sul clima, modello che già in passato ha dimostrato occasioni di fallimento).

 

Scarica l’E-BOOK “Towards a Workable and Effective Climate Regime”

 

Book_cover-2

Come dimostra l’esperienza del fallimento del Protocollo di Kyoto – che affrontava la sfida della mitigazione dei cambiamenti climatici con un approccio top-down – la soluzione di imporre degli obiettivi di riduzione delle emissioni ai diversi Paesi non è quella vincente in un mondo composto di stati sovrani. Al contrario, l’approccio bottom-up adottato in occasione della COP21 di Parigi – che ha preso forma nei cosiddetti INDCs (Intended Nationally Determined Contributions) – presuppone che gli stati siano propensi ad agire per il clima nei propri stessi interessi. La sfida, in questo caso, diviene proprio quella di fornire gli incentivi per tale azione. Lo stesso approccio scelto per la presentazione degli INDCs rappresenta uno di tali incentivi ad un’azione propositiva “dal basso”: ogni Paese si è esposto pubblicamente con i propri impegni, confrontabili con quelli degli altri, più o meno virtuosi. L’approccio di Parigi è quindi un mix tra top-down e bottom-up: da una parte, cerca di allontanare i Paesi da un percorso di non-cooperazione (opzione che, guardando agli interessi “individuali”, rappresenta l’opzione più allettante), mentre dall’altra vuole evidenziare i benefici che ciascuno può trarre da una cooperazione globale. In questa direzione il lavoro da fare è molto, perché la nuova cooperazione non può fondarsi su presupposti, istituzioni e strumenti ad oggi esistenti: si rende necessario un nuovo regime climatico. 

I contributi raccolti nelle sette parti che compongono l’ebook “Towards a Workable and Effective Climate Regime” guardano a – ma anche oltre – Parigi, individuando i percorsi che il regime climatico in evoluzione può e dovrà intraprendere. Lo fanno attraverso analisi, idee e proposte su come progettarlo, costruirlo e sostenerlo.

Proponiamo di seguito una panoramica dei contributi inclusi nel lavoro.

 

I – La sfida. Il volume è introdotto da una valutazione dello stato dell’arte degli aspetti scientifici, economici e politici del cambiamento climatico, con lo scopo di offrire una panoramica degli aspetti in gioco a Parigi e oltre. Stocker, Co-Chair del Working Group I dell’IPCC, sintetizza quanto emerge dalle valutazioni scientifiche del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) in una sintesi lucida e compatta, completata da un’analisi dei rischi e dei costi di diverse politiche da parte di Edenhofer, ex Co-Chair del Working Group III dell’IPCC, e dai suoi collaboratori.

Come sottolineato da entrambi i contributi, ogni ulteriore ritardo nelle misure di mitigazione aumenta notevolmente i costi di decarbonizzazione delle nostre economie associati all’obiettivo di rispettare il limite di aumento medio della temperatura globale a 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Ogni ritardo riduce anche le strade percorribili per questa transizione, e aumenta la necessità adottare in futuro tecnologie per la rimozione di CO2 dall’atmosfera.

Molte questioni, complesse e controverse, hanno ostacolato i processi negoziali che hanno condotto alla COP21 di Parigi e indubbiamente caratterizzeranno anche i futuri negoziati. Forse la più importante di tali questioni è proprio come il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate” si concretizzerà nell’accordo: questi aspetti vengono esaminati da Flannery e discussi ulteriormente in diversi capitoli del volume.

 

II – Prospettive regionali. Le prospettive di Africa (Mekonnen), Cina (Fei), India (Somanathan), Giappone (Yamaguchi e Akimoto), Unione Europea (Guesnerie) e Stati Uniti (Kotchen) dimostrano come, tra diverse regioni e diversi Paesi, vari la percezione della rilevanza delle responsabilità delle emissioni storiche nell’ottica di definire gli obiettivi e gli obblighi futuri, così come variano i processi politici che portano alle posizioni negoziali dei diversi Paesi. Tali differenze di prospettiva contribuiscono notevolmente alla difficoltà di raggiungere un accordo tra stati sovrani.

 

III – Architettura e governance. L’accordo globale per limitare le emissioni di gas serra dovrebbe essere giuridicamente vincolante? Bodansky spiega che non vi è alcuna prova del fatto che un accordo giuridicamente vincolante avrebbe un effetto più forte sull’effettivo comportamento di uno stato, rispetto ad un accordo non legalmente vincolante. Probabilmente, i termini dell’accordo – e in particolare la capacità di farlo rispettare – sono più importanti della sua natura giuridicamente vincolante.

Un altro aspetto da considerare nel nuovo accordo è la distribuzione degli sforzi di mitigazione: Paesi simili tra loro stanno intraprendendo impegni simili? Come evidenziano Aldy e Pizer, è difficile rispondere a questa domanda, dato che gli INDCs non sono presentati con una metrica comune e non sono misurati in funzione dello sforzo necessario per rispettarli; gli autori concludono che la comparabilità degli impegni dovrebbe essere basata su molteplici fonti di dati e analizzata da diversi esperti indipendenti.

Ma c’è una terza questione legata alla governance:  il comportamento effettivo di ciascun Paese sarà in linea con gli impegni presi? Wiener osserva che gli stati  potrebbero essere più propensi a rispettare i propri impegni se le loro azioni saranno osservabili e valutabili. Monitoraggio, Reporting e Verifica (MRV) dovrebbero quindi progressivamente ampliare il loro raggio d’azione per abbracciare non solo il tema delle emissioni, ma anche le politiche di mitigazione, gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico, l’ambito finanziario, l’adattamento e la geoingegneria.

La costruzione di un regime climatico efficace e realizzabile dovrà estendersi oltre la United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCC). Victor e Keohane scrivono che, partendo dall’accordo di Parigi, i negoziati potrebbero prendere uno slancio attraverso quello che gli autori chiamano “la governance sperimentale”, una governance che richiede che (i) gli obiettivi siano collegati ad azioni effettive, che (ii) la non azione comporti costi significativi e che (iii) l’obiettivo globale sia collegato agli impegni nazionali.

Similmente, Stewart, Rudyk e Oppenheimer suggeriscono che gli stati e altri attori – tra cui imprese, ONG, organizzazioni internazionali e autorità subnazionali – perseguano una strategia composta da sforzi multilaterali che completino l’approccio dell’UNFCCC.

Sarà inoltre necessario impostare un sistema in cui la competitività delle imprese sia fondata anche sulla loro sostenibilità: i contributi di Mavroidis e Melo analizzano le possibili riforme della World Trade Organization (WTO) per lo sviluppo di tecnologie a basso consumo energetico e per limitare l’uso dei sussidi ai combustibili fossili.

 

IV – Opzioni di policy. I contributi di questa sezione analizzano diversi approcci per l’attuazione degli INDCs e per intraprendere ulteriori sforzi di abbattimento delle emissioni climalteranti, con particolare enfasi sul prezzo del carbonio. Burtraw analizza l’approccio normativo seguito dagli Stati Uniti, sostenendo che la flessibilità del Clean Power Plan dell’amministrazione Obama rispecchia quella che si sta applicando nei negoziati internazionali, e che tale approccio potrebbe consentire un risultato efficiente.

Alla luce del grande successo della politica climatica svedese , Sterner e Köhlin valutano la fattibilità di quattro azioni legate al prezzo del carbonio: (1) rimozione dei sussidi ai combustibili fossili; (2) tassazione di carburanti; (3) cap and trade e regolamentazione diretta; e (4) promozione delle energie rinnovabili. Gli autori concludono che il processo negoziale di Parigi potrebbe promuovere diversi strumenti per le diverse parti, magari imponendo un prezzo minimo al carbonio per integrare gli impegni quantitativi intrapresi finora.

L’architettura ibrida emersa dai negoziati di Parigi comprende elementi bottom-up (INDCs) e top-down (MRV). Gli strumenti saranno diversi a seconda delle giurisdizioni. Stavins discute i pro e i contro di diverse forme di collegamento tra giurisdizioni (ad esempio, l’accettazione e lo scambio di permessi o crediti di emissione tra una giurisdizione e l’altra) che si rendono necessarie per rendere efficace tale architettura. Se tali connessioni avranno un ruolo sufficientemente rilevante nell’accordo, e se le regole di funzionamento non saranno troppo rigide, i costi di mitigazione si ridurranno, incoraggiando impegni più ambiziosi nel prossimo futuro. Il carbon leakage (ovvero l’aumento delle emissioni estere derivanti dalle azioni intraprese a livelli nazionali) resta un problema, dato che il prezzo dei combustibili fossili differirà da Paese a Paese. Nel suo capitolo, Fischer considera una serie di opzioni per limitare tale fenomeno e raccomanda un approccio coordinato a favore di misure anti-leakage.

 

V – Tecnologia. Sono solo due le opzioni a nostra disposizione per ottenere la stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra in atmosfera: (i) la riduzione progressiva delle emissioni a zero, e/o (ii) la rimozione di CO2 dall’atmosfera (con le adeguate tecnologie) per compensare le emissioni prodotte. Nonostante sia notevole il potenziale di riduzione delle emissioni realizzabile con le tecnologie esistenti, queste non sono ancora sufficienti ad offrire una prospettiva di stabilizzazione delle emissioni. Si rendono necessarie nuove tecnologie che siano in grado di rendere convenienti le energie rinnovabili rispetto ai combustibili fossili. Toman sostiene che saranno necessari finanziamenti in ricerca e sviluppo ben più sostanziosi di quelli attuali: un aspetto di grande importanza, ma su cui attualmente i negoziati non si stanno focalizzando adeguatamente.

Bosetti osserva come l’energia solare ed eolica, seppur cresciute enormemente negli ultimi anni, non siano sviluppate a sufficienza: volendo mantenere aperta la possibilità di limitare il cambiamento climatico a 2°C di riscaldamento, le energie rinnovabili dovranno giocare un ruolo ben più rilevante e, in aggiunta, si dovrà rimuovere una quota di CO2 dall’atmosfera. Un’opzione per farlo comporta la produzione di energia dalla biomassa – una fonte di energia rinnovabile – con la conseguente cattura e immagazzinamento del carbonio rilasciato nel processo di combustione. Il problema qui sono le incognite legate all’applicazione su larga scala di tale tecnologia.

La cattura e sequestro del carbonio è un’altra opzione che ha grandi vantaggi, come quello di ridurre i problemi legati al leakage. Tuttavia, come discusso da Tavoni, si tratta di una soluzione che presenta diverse complessità, tra cui gli alti costi economici e sociali dello stoccaggio.

La geoingegneria solare (che consiste nell’iniettare determinati gas nell’atmosfera in modo da riflettere una quota della luce del sole in entrata) rappresenta un’altra opzione tecnologica economica ma che, come discusso da Barrett e Moreno-Cruz, sottende rilevanti problemi di governance e non tiene conto di alcuni aspetti, ad esempio non agisce sulla riduzione dell’acidificazione degli oceani.

 

VI – Sviluppo e ripartizione delle responsabilità. Fino ad oggi, i Paesi più poveri sono stati i più duramente colpiti dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, e si prevede che saranno i più vulnerabili anche in futuro. Per perseguire uno sviluppo globale a basse emissioni di carbonio, Hallegatte ed i suoi co-autori sollecitano una pianificazione degli investimenti di lungo termine, soprattutto nelle aree urbane, un migliore accesso alle cure sanitarie e una maggiore attenzione alla sicurezza sociale. Assumendo il punto di vista dei Paesi a basso reddito, Kaudia sostiene che gli impegni di tali Paesi per il clima dovrebbero essere volontari e condizionali alla disponibilità di risorse finanziarie, in virtù dei principio di equità promosso dall’UNFCCC. Angelsen sottolinea l’importanza della conservazione delle foreste nella mitigazione dei cambiamenti climatici e spiega le debolezze registrate ad oggi nell’ambito della gestione forestale.

Le città, che oggi ospitano il 54% della popolazione mondiale, sono responsabili di oltre il 70% delle emissioni globali di gas serra e il loro contributo alle emissioni sarà ancora più rilevante in futuro, data la tendenza globale verso una sempre più intensa urbanizzazione. Bigio, esaminando le strategie disponibili per la riduzione dell’impronta di carbonio legata alla crescita urbana, osserva la grande sfida posta ai Paesi in via di sviluppo: poiché il maggiore slancio di urbanizzazione avverrà nelle città medio-piccole, dove la governance e le capacità istituzionali sono spesso più deboli, sarà cruciale ottenere finanziamenti per uno sviluppo urbano sostenibile e utilizzarli in modo efficace.

Il trasferimento tecnologico dovrebbe svolgere un ruolo cruciale sia nel campo della mitigazione che in quello dell’adattamento. Coninck e Bhasin suggeriscono alcune misure per aiutare i Paesi sviluppati a riconoscere i benefici che potranno trarre dagli aiuti destinati ai Paesi in via di sviluppo, al fine di incentivare la cooperazione tecnologica.

Infine, la questione dell’equità può essere affrontata anche riducendo progressivamente la fornitura di carbone, piuttosto che riducendone la domanda: in quest’ottica, Collier propone un progressivo arresto della produzione di carbone a partire dai Paesi ad alto reddito (Stati Uniti, Germania, Australia).

 

VII – Finanza climatica. Gli effetti economici delle politiche proposte richiedono un riorientamento degli investimenti verso opzioni a basso tenore di carbonio. Nei prossimi due decenni, dovranno essere investiti circa 5-6 trilioni di dollari all’anno in infrastrutture urbane, nell’uso del territorio e nei sistemi energetici. Di questi, circa 1,6 trilioni all’anno dovranno essere investiti nella fornitura di energia: la metà per soddisfare la domanda di energia, e l’altra metà per sostituire i sistemi di produzione esistenti.

Ulteriori investimenti per far fronte alle trasformazioni sociali necessarie a mantenere il limite dei +2°C ammontano a circa lo 0,75% del PIL mondiale del 2013. D’altro canto, limitare i cambiamenti climatici a +2°C per mezzo di politiche basate sul prezzo al carbonio genererebbe un gettito pari a circa il 2,1% del PIL complessivo dell’OCSE del 2013. Le politiche legate al prezzo del carbonio sono quindi in grado di fornire le risorse finanziarie necessarie per affrontare il problema del cambiamento climatico. Saranno inoltre necessari miglioramenti del quadro normativo affinché la finanza climatica si estenda oltre i confini nazionali (attualmente, tre quarti dei finanziamenti per il clima vengono spesi nel Paese/nella regione di origine).

Buchner e Wilkinson notano come, fino ad ora, le “fonti alternative” di finanziamento individuate nel 2009 (mercati e prezzi del carbonio, tassazione dei trasporti e delle transazioni finanziarie internazionali, e mercato dei green bond) siano state deludenti. Sarà necessaria una forte leadership per condurre la finanza verso un futuro a basse emissioni di carbonio: gli autori suggeriscono misure da adottare in questa direzione.

Poiché il prezzo del carbonio, da solo, non è sufficiente, sono necessari nuovi strumenti finanziari per innescare investimenti a basso tenore di carbonio. Ma gli elevati costi iniziali di tali progetti rappresentano una barriera all’entrata: Hourcade suggerisce quindi che il settore pubblico si proponga come garante di un rendimento attraente nel caso di investimenti destinati ad attività low carbon.

Va infine affrontata la questione della distribuzione delle risorse finanziarie. Guillaumont discute i principi che dovrebbero guidare la distribuzione dei fondi destinati all’adattamento e propone, a questo fine, di definire l’indice di vulnerabilità di un Paese a shock atmosferici ed eventi estremi inaspriti dai cambiamenti climatici.

 

Alcune riflessioni

Il cambiamento climatico è una sfida straordinaria e senza precedenti (si vedano Arrow (2009) e Layard et al. (2015)) e, senza ombra di dubbio, gli impegni adottati a Parigi saranno solo il primo passo di un lungo viaggio: nei prossimi anni, andranno adottati ulteriori e crescenti sforzi di riduzione delle emissioni e sarà necessario adottare misure politiche più efficaci, sia a livello nazionale che internazionale.

Non è più sufficiente essere d’accordo su un obiettivo di contenimento della temperatura. Ora è urgente concordare un percorso di trasformazione della società. Una trasformazione che, per lo meno nelle economie di mercato, può essere guidata solo da un segnale di prezzo. Al di là dell’accordo di Parigi, la cooperazione necessaria include i seguenti aspetti:

  • Concordare un prezzo del carbonio – da attuare progressivamente e attraverso misure specifiche per Paese – che possa guidare gli investimenti verso opzioni a basso tenore di carbonio;
  • Aumentare i contributi al settore Ricerca e Sviluppo, in particolare da parte del settore pubblico, il cui investimento in tecnologie energetiche è solo un quarto di quello degli anni 1980;
  • L’efficacia si lega all’equità: saranno quindi necessari ingenti investimenti e il sostegno finanziario dei Paesi ad alto reddito nei confronti dei Paesi a basso reddito.

La cooperazione deve quindi avvenire trasversalmente coinvolgendo diverse aree d’azione: per ridurre le emissioni, per intraprendere attività  di R&S e per finanziare gli investimenti e lo sviluppo. La scala, la portata e la complessità di questa sfida sono senza precedenti, e non abbiamo alternative all’affrontarla.

Come discusso nel libro, le misure adottate a Parigi dovranno essere sviluppate e migliorate nel tempo: il processo UNFCCC rimarrà centrale, ma non sarà l’unico. Il problema del clima è troppo complesso, troppo ampio e troppo importante per essere affrontato da un singolo accordo istituzionale. L’e-book fornisce alcune linee guida su come il mondo potrà navigare questo territorio ancora in buona parte inesplorato.

Riconoscimenti:

Alessandra Mazzai ha contribuito alla redazione di questo articolo.


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